lunedì 11 luglio 2011

profumo d'estate impressionista

L’immagine che si riflette nel ritratto della memoria è sempre uguale a sé stessa negli anni.
Nello specchio deformante la prima sensazione a cogliermi è l’afa del sole di luglio che picchia come un martello sulla testa dei bambini coperti da un cappellino di quelli con la visiera e il simbolo di una squadra di calcio. Bambini che si ricorrono nei loro completi da gioco sempre uguali. Nelle loro ginocchia sbucciate e nei loro gomiti neri di terra c’è tutta la gioia di vivere e la libertà del sogno. Come ero io e come sono loro ora: nell’attesa che la merenda del pomeriggio segni il momento spartiacque dall’ora della calura estrema in cui si deve stare all’ombra al momento in cui ci si può arrischiare al sole, magari per giocare a pallone. Quella merenda che, in giorni speciali, è composta dal gelato. Già la scelta del gusto perfetto costituisce, in sé, un momento speciale da prolungare il più possibile.
Poi riascolto il rumore assordante delle cicale che sembrano voler aumentare, con il loro apporto di decibel, il caldo. Instancabili e nascoste. A pensarci bene non mi ricordo di aver mai visto una cicala, ma ho sempre avvertito la sua presenza dal canto che proveniva dalle fronde verdi degli alberi. Ho sempre pensato che se ogni tanto avessero taciuto, il caldo sarebbe stato meno opprimente.
Rivedo sempre quelle case la cui porta d’ingresso è protetta da pesanti tendoni color prato. La protezione contro il sole cocente oscura la barriera a proteggere dagli intrusi a significare quasi che sia il caldo il nemico peggiore. E intanto già mi gusto il fresco della penombra che, varcata la soglia, si deve avvertire. Quelle case di cui, in inverno, anelavo il tepore provenire dai caloriferi ora spenti.
La calura estiva opprime i corpi sfioriti delle donne anziane che in circolo si ritrovano all’ombra nei cortili, su quelle pesanti sedie pieghevoli di metallo a libro, dai braccioli ricoperti in plastica e la seduta in tessuto sintetico. Donne che parlano tra loro mentre si fanno vento con ventagli di fortuna e sbuffano come vecchie locomotive avvolte in apparentemente freschi prendisole da poco prezzo acquistati al banco del mercato la domenica mattina tra una lattuga e un paio di ciabatte. Poi mi salta in mente anche il loro profumo che tutte le mattine è di saponetta e borotalco e che svanisce lentamente nel corso della giornata.
Per far parte di quei circoli così superficialmente semplici, ma più esclusivi della reale società, bisogna essere creature speciali. Bisogna aver vissuto un numero minimo di anni ed essere sul viale del tramonto della vita per comprendere come la leggerezza dei discorsi possa contenere in sé un’antica saggezza che nessun libro potrà mai donare.
Quando ero bambina ricordo che il nostro avvicinarci provocava il loro silenzio e io immaginavo che si raccontassero chissà quali segreti o si facessero scabrose confessioni che noi non potevamo capire. In parte era anche così: forse erano anche discorsi inadatti ai bambini, ma per la loro intrinseca profondità.
Non sono mai entrata nei loro discorsi, ma ho sempre potuto godere del solo suono delle voci. Discorsi leggeri sul pettegolezzo circa la stella del momento o sulle ricette di cucina. Discorsi dedicati a quel microcosmo di persone che compongono il loro universo.  Discorsi da cui passa l’intero sapere ancestrale femminile, l’intero modello della fisicità e della scomodità di essere donna.
Donne che parlano sempre uguali anche se un tempo erano le nonne ed ora sono le mamme della mia generazione.
In quel loro vociare, oggi come negli anni passati, ho sempre avvertito un senso di quella pace che solo chi ha il tempo trascorso tra le ossa e la possibilità di perderne ancora tanto, può provare. A volte provo anche invidia per chi ha il raro dono del tempo. Un dono precluso a chi non sa goderne. Non perché non abbia tempo, ma perché non ne è mentalmente in grado. Nei rari attimi in cui so di avere il tempo come dono avverto un senso di smarrimento perché non sono capace di perderlo. Vorrei avere una banca in cui metterlo da parte per goderne il giorno in cui entrerò in quei circoli. Perché anche la libertà dei discorsi nella calura d’estate possa donarmi ancora attimi preziosi da portare con me.


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