domenica 7 agosto 2011

quell'unico treno in orario

Ci sono giorni speciali, giorni in cui gli eventi del mondo ti hanno investito così profondamente che te li ricorderai per tutta la vita. Tutti si ricordano cosa stavano facendo l’11 settembre 2001.
Io mi ricordo del 2 agosto 1980. Ne ho un ricordo quasi onirico perché non avevo ancora 4 anni. Forse nella mia mente i fatti e i racconti si confondono, forse le cose non sono andate proprio così, ma lo ricordo.

Era una giornata di sole ed io ero in Gargano per trascorrere le vacanze con la mia famiglia  in campeggio. Adoravo quel posto: ci andavamo da sempre, vale a dire due anni, e sempre ci saremmo andati. Anche se poi non è stato così. Io in quel campeggio appoggiato su una baia godevo della libertà più totale. Potevo andare dove volevo, tanto mi conoscevano tutti.  Passavo dalla spiaggia, al bar al parco giochi e mi presentavo alla roulotte solo all’ora dei pasti. Avevo l’abitudine di tuffarmi in mare non appena i miei genitori si distraevano, rimediando continui rimproveri. Non ho mai goduto di così tanta libertà in nessun altro posto al mondo.

Quel giorno fu diverso. 

Come sempre mi ero tuffata in acqua per fare il bagno e vidi mia madre parlare sul bagnasciuga con altre persone. Aveva l’aria seria e, quando mi richiamò, salii senza fare storie. Di solito mi mettevo sotto le docce che c’erano in spiaggia, spintonando un po’ il malcapitato di turno (avevo una predilezione per i tedeschi), quindi mi rotolavo nella sabbia e tornavo in acqua. Ma non quel giorno. Mia madre senza dire una parola mi guardava seria con il telo in mano ed io intuii che non era il caso. Mi ricordo che mi avvolse nel telo, mi prese in braccio, mi depose sul lettino e quindi si sedette accanto a me. In circolo c’erano altri adulti che parlavano tra di loro. Io li ascoltavo incuriosita, ero ammessa ai discorsi dei Grandi e, per una volta, questi non riguardavano il pettegolezzo o le ricette di cucina, ma qualcos’altro che io non capivo bene. Per un qualche strano motivo me ne rimanevo lì avvolta nel telo ad ascoltare. Lo sguardo di mia madre era serio, ma non arrabbiato come quando combinavo qualcosa, era triste e rancoroso, come se avesse subito un’ingiustizia.  Nei discorsi dei grandi capii che era successo qualcosa di molto brutto a casa. Qualcosa che riguardava la stazione dei treni. Ricordo che qualcuno disse che doveva essere esplosa una bombola di gas. Sapevo che cos’era una bombola di gas perché in roulotte i fornelli funzionavano a bombola e se il gas finiva bisognava cambiarla e la pasta veniva meno buona del solito. Ma non avevo mai sentito dire che le bombole esplodessero. Certo che non era una bella parola. Qualcuno si poteva anche fare male. Ricordo mia madre che con un tono glaciale disse: “non può essere stata una bombola, perché il locale caldaia è dall’altra parte. Questo è un attentato. Questa è stata una bomba.” Se mia madre diceva una cosa del genere c’era da crederci perché suo papà era stato ferroviere e lei la stazione la conosceva bene, quindi nessuno mise in discussione le sue parole. Ricordo che il ghiaccio che usciva dalle sua parole mi entrò dentro. Il sole di agosto smise di scaldare ed il gelo avvolse tutti.
Ricordo che la sensazione di freddo interiore non doveva essere solo mia perché tutti, in spiaggia, erano silenziosi. Anche i miei fratelli e i loro amici erano più tranquilli del solito e non si sentivano i soliti schiamazzi provenire dalle onde. Il sole era un po’ più freddo per tutti.
Ad un certo punto arrivò la notizia, che sentii rincorrersi di bocca in bocca: un ragazzo, figlio di una coppia in campeggio, doveva scendere con il treno che partiva alle 10 circa da Bologna.
All’epoca, senza telefoni cellulari, non era facile sapere come andavano certe cose e  di una persona, in una situazione del genere, si poteva anche non avere notizie per ore. I genitori partirono per San Severo, dov’era situata la stazione più vicina, e lasciarono un centinaio di turisti nel gelo del sole di agosto.
Nelle ore che seguirono ricordo i discorsi angosciati: e se il ragazzo aveva perso il treno? E se quel treno fosse stato in ritardo? In Italia i treni erano sempre in ritardo. Quella frase mi colpì moltissimo. Da allora per me i treni sono sempre in ritardo, anche quando spaccano il minuto. Questo concetto mi è entrato in testa durante il processo di imprinting.

Poi, d’improvviso, come un fulmine a ciel sereno arrivò la seconda notizia che si rincorse come la prima: il ragazzo aveva preso quel treno ed aveva lasciato la stazione prima dello scoppio. Qualcuno sosteneva addirittura che lui non sapesse nulla di quanto accaduto.
Improvvisamente il cielo ricominciò a scaldare anche se ormai era sera e si ricominciarono a sentire gli schiamazzi e le prime timide risate. Alla sera i tre arrivarono al campeggio come dei vincitori del premio più prezioso. So che qualcuno, per festeggiare la fine di quello strano gelo, mi offrì anche un gelato da grande, vale a dire tre palline invece delle solite due, mica pizza e fichi!

Una frase di mio padre mi è rimasta impressa di quel giorno: “ma boia boia, pensa che fortuna: è riuscito a prendere quell’unico treno in orario!!!”
Mio padre ancora oggi è solito dire “boia boia”.
Da allora mi è rimasta impressa questa cosa: prendere un treno in orario è un colpo di fortuna di quelli che ti possono capitare una sola volta nella vita. Che ci sono persone che per poter tornare indietro e prendere quel treno darebbero qualunque cosa. So che per 85 persone non fu così. So che alle 10.25 di quel giorno la vita di altre 200 è cambiata in modo irreversibile. So anche che stiamo ancora aspettando di avere una risposta definitiva sui responsabili. 
Spero solo che quel treno arrivi in orario prima o poi.

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