lunedì 12 agosto 2013

Il mio Muro di Berlino

Questa è la mia prima volta a Berlino. Città nuova, gente nuova, un mondo nuovo. Un mondo strano, molto europeo, forse troppo, per chi, come me, viene da un paese sempre meno europeo.
Mi piace viaggiare, mi piace essere straniera, mi piace non essere capita, vedere una realtà che non mi appartiene da fuori. Mi piace la libertà dell'incomprensione, del tornare bambina e riscoprire il mondo. 
Eccomi qui quindi. Ecco che cerco di conoscere questa città, di trovare in essa qualcosa di me.  Perché c'è una domanda che mi faccio tutte le volte che visito una città, e che diventa la vera discriminante tra le città che amo e quelle che non amo. La domanda è: io qui ci vivrei? C’è, in essa, qualcosa che mi appartiene così tanto da rendermi desiderabile il farne parte?
Per ora non ho una risposta.
La prima impressione è che questa città non è quella che mi aspettavo. La prima impressione è quella di una città che vuole divertirsi, che vuole essere felice, ma fa ancora fatica. È ancora schiava dei fantasmi che da sola ha creato e poi scacciato. Fa i conti con un passato troppo ingombrante per chi c’era, e lo affronta chiamando a sé giovani che non l'hanno vissuto se non nei racconti dei genitori.
Le guide turistiche dicono che “Berlino è giovane”, ma la sua gioventù è forzata. Quello che ora vedo è un eterno cantiere in continua evoluzione alla ricerca di una sua identità, reale, pulita, che ricordi i fasti di un tempo, ma ne dimentichi la paura.
Forse ho sbagliato approccio. Forse non dovevo cominciare dal Muro. Ma come potevo trascurarlo proprio io che quel 9 novembre del 1989 avevo appena compiuto 13 anni e sentivo fortissimo l’entusiasmo di essere spettatrice della Storia che si compieva di fronte a me finalmente priva della totale inconsapevolezza dell’infanzia?
E allora decido di cominciare proprio da dove il Muro ha cominciato a crollare.
Bornholmer Brücke, dove quella notte i berlinesi dell’Est si ammassarono senza lasciare altra scelta alle guardie se non di aprire i cancelli, è solo un ponte di ferro. Inutile immaginarsi chissà che. È solo un ponte di ferro molto trafficato. Del Muro non c’è traccia.
Mi reco allora al Mauerpark, dove, mi dicono, è visibile una sezione del “muro interno”, quello di mattoni rossi per intenderci. Lì il muro, in effetti è visibile. Mi ci vuole un po’ per capire che quell’ammasso di mattoni fatiscente, che combatte contro le erbacce all’ombra di palazzoni anonimi che hanno meno di vent’anni, sia stato un Simbolo. Non esprime neanche la Malinconia di una vecchia gloria oramai in pensione. Possibile che a nessuno, tedeschi compresi, interessi ricordare cosa è stato e cosa ha rappresentato? Possibile che tutto ciò che resti di una delle più grandi faglie umane che la storia moderna abbia prodotto, sia ridotta a una ricostruzione per turisti presso il Checkpoint Charlie?
Sarà perché vengo da un Paese per il quale la Storia deve sempre essere mostrata quasi con arroganza, che deve conservare tutto in modo fisso come se fosse il salotto buono che viene aperto solo per quelle grandissime occasioni che poi non sono mai abbastanza grandi; ma ci rimango male. Possibile che si sia già dimenticato tutto?
La verità è che quanto il Muro è caduto ai berlinesi è rimasto un sacco di spazio vuoto. Spazio che doveva essere riempito in un qualche modo, non si poteva mica lasciarlo lì, e così hanno cominciato a costruirci sopra lasciando che pezzi di sé stessa si sparpagliassero per il mondo come stelle cadenti, sotto forma di cartolina con incastonata un sasso.
Un pezzo di Muro non lo si nega a nessuno. Del resto chi non ha un po’ di Muro dentro di sé?
Tutti questi pensieri affollano la mia mente fino a quando non raggiungo la Gedenkstätte Berliner Mauer, l’unico punto in cui è visibile una ricostruzione degli elementi componenti il Muro: la parte in mattoni, quella in cemento armato, la striscia della morte, le torrette di guardia, e i potenti lampioni. Una ricostruzione assolutamente realistica, anche perché non hanno fatto altro che lasciare intera una parte effettivamente esistente, ma l’effetto che mi fa è quello della pantomima ad uso e consumo dei turisti.  Forse sono troppo empatica, troppo sentimentale, ma qui manca qualcosa. Qui manca l’umanità. L’unica impressione che ne ricavo è che il Muro sia mentale, un qualcosa da abbandonare alle erbacce se possibile o da mostrare come reperto archeologico ai turisti. Non è più vissuto per quello che è stato, e non è ancora dimenticato come si vorrebbe .
Dopo questo giro malinconico, cercando ancora il significato di ciò che è stato con un pizzico in più di leggerezza, vado al DDR Museum. La guida me ne parla come di un museo iterativo che presenta la vita nella ex-DDR come semplice e simpatica, un vero must per chi, come me, ama il film Good Bye Lenin! Non è così. È un museo serio, ricavato in uno spazio troppo piccolo, popolato di troppi bambini per riuscire ad avere il valore che merita. Nuovamente torno a pensare a quella geniale commedia così amara. Ricordo una frase che il protagonista, Alex, verso la fine dice e che, più o meno, è questa: diedi al mio Paese la fine dignitosa che la Storia gli aveva negato.
In questo museo si alternano cimeli di un passato troppo vicino per essere archeologici che non sono ancora diventati reperti da sarcofago egizio. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa un coetaneo di mia sorella, un adolescente di quel periodo. Uno che, in quei giorni, aveva vissuto davvero la DDR e la caduta del Muro.
È solo qui che ho l’impressione per cui qualcuno tenta di superare l'incomprensione empatica tra chi cerca di spiegare una vita e chi, non conoscendola, la riveste di eccessiva tragicità o eccessiva superficialità.
A pensarci bene la Germania è uno di quei pochi posti in cui si può trovare qualcuno che per tutta la è stato dalla parte sbagliata della Storia. Immaginiamo un uomo nato del 1920: oggi ha 93 anni. Non parlo di un fanatico, o di un intellettuale politicamente impegnato, ma del classico “uomo comune”, quello che lavora onestamente e paga le tasse, che non fa scioperi e neanche troppe domande. Da bambino gli dissero di credere al Reich, e lui lo fece. Poi, era il 1946, gli dissero di credere a Stalin, e lui lo fece. Nel 1989 aveva 69 anni. Come si spiega a un uomo di quell’età che lui ha sempre sbagliato? Che si è sempre fatto manipolare dai mezzi d’informazione, che è sempre stato dalla parte sbagliata, che è sempre stato uno dei Cattivi? Perché, si sa, la Storia viene sempre scritta dai Buoni, perché i Cattivi, sono quelli che hanno perso. Sempre.
Questa è una domanda a cui non avrò risposta, ma ho ancora il desiderio di capire il Muro. So che posso conoscere ancora tanto. Infondo, mi dico, se Berlino ha un’anima artistica così profondamente sviluppata come mi dicono, qualche funzione artistica anche il Muro dovrà averla oggi no?
Nell'East Side Gallery 1300 metri di Muro ritrovano una funzione ancestrale, e come le pareti delle grotte paleolitiche, si trasformano in tela di cemento per artisti più o meno improvvisati. Nei suoi murales, in cui decine di artisti tradussero l’euforia dei primi tempi, la città sembra aver fatto i conti con il passato e aver trovato un modo per ricostruire dopo la ferita e la cicatrice. 
Qui trovo finalmente uno spirito diverso di questa storia, qui voglio immaginare i primi giorni del dopo Muro: gente sconosciuta che felice si abbraccia come in una festa, come vecchi compagni di scuola che si ritrovano dopo tanto tempo e dimentichi dei brutti momenti pensano solo a quanto è bello essere di nuovo vicini.
Finalmente, in questa prima periferia di una capitale di confine, il mio umore si colora di un nuovo profumo, quello della quotidianità non sempre ossessiva e del primo giorno di scuola. 

Nei giorni prossimi ci saranno le opere d’arte nei musei, le bellezze architettoniche, il giro sul fiume e il tour con le Trabant. Per ora mi godo questo.


 

sabato 3 agosto 2013

And The Winner Is ...

Come qualcuno di voi già saprà, nei mesi scorsi ho partecipato a un concorso letterario.
Speravo che, mettendomi in gioco così, avrei avuto la possibilità di imparare e di migliorare e un giorno, chissà, magari anche di pubblicare qualcosa.
Quello che non mi aspettavo minimamente era di vincere il concorso e di ottenere la possibilità di pubblicare il mio racconto!
Chiaramente vi dirò tutti i dettagli riguardanti la pubblicazione a tempo debito, per ora vorrei ringraziare chi mi ha aiutato, supportandomi e, soprattutto, sopportandomi. 
Sì, lo so, non ho vinto l'Oscar, ma se considerate che, quando ho saputo della vittoria, mi sono messa a ballare a GanGnam Style in sauna, capirete la mia incapacità di intendere e volere attuale.
Quindi, ecco a voi i miei ringraziamenti.
Tutto questo è dedicato alla Trikell Edizioni, a MChagall, a Principe Kamar, alla Giuggy, a Lost Fantasy, al Professor Ferri e a ManuVr; non ho bisogno di dire il perché, loro lo sanno già. Un grazie speciale agli amici che mi hanno sempre detto di provarci, ad un sito che parla di danza perché, anche se apparentemente non centra niente, lì ho scritto tanto e lì ho conosciuto qualcuno degli amici di cui vi ho parlato tante volte e che ho ringraziato qui. Infine, grazie a Roberto Pellico perché vorrei saper scrivere come scrive lui.
Adesso non so cosa succederà, solo di una cosa sono certa: imparerò qualcosa!
Un bacione a tutti e buone vacanze!